Cortomiraggi

Film

The banshees of Inisherin

Elisa

Il tempo che scivola, la paura di non impiegarlo al meglio. È tutto un intrattenimento insulso in attesa dell’inevitabile fine. Sono questi i pensieri che inchiodano Colm in un giorno qualunque. L’insoddisfazione lo lacera a tal punto da rompere la sua amicizia di lunga data con Pádraic, illudendosi di poter ottenere più di quello che possiede già. La sua decisione, netta, è la scintilla che genera il caos nella piccola comunità irlandese di cui fa parte. E la sua rigidità, illimitata, avrà conseguenze non soltanto sulla sua vita.

Martin McDonagh torna a dirigere Colin Farrell e Brendan Gleeson dopo In Bruges, il thriller comico che l’ha reso celebre nel 2008. Negli anni ha realizzato altri due film, 7 psicopatici e Tre manifesti a Ebbing, Missouri, arrivando con The banshees of Inisherin a costruire una poetica ormai riconoscibile. La sua scrittura, densissima, combina la tenerezza con l’atrocità, appare scombinata finché non attecchisce. I suoi personaggi sono grotteschi, gentili, suscitano sorrisi di devastazione. Nell’ultimo film parlano anche una lingua ostica, eppure musicale, specchio forse di ciò che sono. Di quell’assurdità che si prende tutto, comprese le parole.

DA QUI SPOILER

Le chiacchiere, però, sono importanti. Pádriac lo sa bene, lo ripete allo sfinimento durante uno dei primi confronti con Colm. Solo che, tentando di riappacificarsi con lui, anche le sue certezze verranno messe alla prova.
La loro guerra finirà poi per coinvolgere altre persone. Il giovane Dominic (quant’è bravo Barry Keoghan) e Siobhán, la sorella di Pádraic, saranno i danni collaterali dei loro litigi. Lei scapperà prima dell’inevitabile declino, lui morirà nel declino. E, alla fine, i due incendiari non vedranno altro che ceneri.

Di The banshees of Inisherin ricorderò soprattutto due cose: le sopracciglia eloquenti di Colin Farrell e il coraggio di Siobhán. L’immagine della sua fuga, qualche giorno fa, mi ha attraversato mentre ascoltavo Cambiare idea di Dente. L’ho vista in una frase, sussurrata con rigore, come se a pronunciarla fosse lei:

“Devo prendermi cura di me”

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