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Film

Once upon a time in… Hollywood

Elisa

In questo film ho sentito tutto l’amore di Tarantino per il cinema e, soprattutto, ho sentito forte e chiaro il mio.

Hollywood, 1969. Rick Dalton è un attore che non riesce a decollare, passando da un ruolo all’altro senza mai affermarsi. Accanto a lui c’è il suo fidato stuntman, Cliff Booth, che lo segue anche fuori dal set diventando quasi la sua controfigura nella vita reale. Sullo sfondo delle loro vicende si insinuano quelle della famiglia Manson – uno degli innumerevoli riferimenti a quegli anni.

Il citazionismo tarantiniano è noto e in questo film forse più che in altri è anche necessario per apprezzare l’intera storia. Da Sharon Tate a Bruce Lee, passando per Easy Rider e Il laureato, e poi Steve McQueen, Polanski, i spaghetti western. La lista è lunga. La sua abilità nel mescolare fatti reali con altri puramente inventati aumenta l’attrazione che emana questa pellicola, coinvolgendo lo spettatore in un sogno allo stesso tempo lucido e nebuloso e creando una forte nostalgia anche in chi quegli anni non li ha mai vissuti.

I dialoghi sono pochi, il ritmo quasi rilassato, la violenza meno dirompente del solito. Ci si emoziona non per la storia che racconta, ma per il significato profondo che ha dentro di sé. Tarantino ha scelto di parlare di quegli anni perché sono quelli della sua infanzia, ma ognuno di noi in Once upon a time in… Hollywood può vedere il suo ricordo d’oro legato al cinema. Ed è questo incontenibile amore che emerge qui, questo potere più che mai salvifico della settima arte. Capace perfino di riscrivere la storia.

__________ DA QUI IN POI SPOILER

Once upon a time in… Hollywood, proprio come ci dice il titolo, è una fiaba e la fine è la sua parte migliore. Quella che dopo due ore di affresco di un’epoca andata ti fa capire che stai guardando un film. Tarantino ci accompagna passo passo verso quella fatidica notte, ci prepara il terreno e ci attende al varco. E poi, col suo inconfondibile tocco, stravolge ogni cosa.

Dopo aver visto Mindhunter avevo approfondito la storia della famiglia Manson e sicuramente questo ha contribuito al mio coinvolgimento emotivo nel finale. Tarantino ha riscritto i fatti ma ovviamente non li ha cancellati, non ha nascosto il dolore. Ed è questo che negli anni il cinema ha fatto più volte con me in modi totalmente diversi tra loro, mi ha scosso e cullato, mi ha ucciso e salvato. Mi ha sbattuto la verità in faccia e mi ha fatto sognare.

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