Synecdoche, New York
Synecdoche, New York è un film che non finisce coi titoli di coda, è talmente vasto che mi è risuonato dentro per anni.
Synecdoche, New York è un film che non finisce coi titoli di coda, è talmente vasto che mi è risuonato dentro per anni.
In Marriage Story sembra non ci sia bisogno neanche di un’ambientazione, solo di una camera spoglia. I personaggi sono definiti, palpabili, veri. Ogni scena porta con sé un fardello emotivo enorme, a volte fatto di piccoli gesti e sguardi fissi, altre di parole urlate e sottintesi. Mi ha spezzato più volte con estrema dolcezza, spesso in quegli attimi silenziosi difficili da afferrare. Ma i non detti, si sa, fanno rumore.
Esiste una pratica orientale usata soprattutto nella meditazione che consiste nel concentrarsi su ogni parte del corpo partendo dai piedi. Sembra un esercizio banale e sciocco, ma in realtà permette di prendere consapevolezza di sé, di uscire dalle proprie abitudini e focalizzarsi su cose che diamo per scontate. Dalle unghie dei piedi ai lobi delle orecchie. J’ai perdu mon corps mi ha trasmesso questa semplice e fondamentale sensazione, trascinandomi in una sequenza delicata e poetica di esperienze sensoriali che spesso prescindono da un senso logico.
The Irishman è una visione lenta, studiata, faticosa, è come vedere un tramonto che stenta a svanire. Un tramonto di rara e malinconica bellezza.
Uno di voi mi ha scritto: “Vorrei vedere un film sull’avidità e la sete di potere” e ho pensato subito a Il petroliere.