Libri

Alex Piovan, Il pianista

Appoggia il bicchiere vuoto sul bancone. I cubetti di ghiaccio tintinnano. In sottofondo, musica di pianoforte. Lei si è alzata ed è uscita dal locale. Sei troppo egoista, ha detto. Non sei in grado di fare qualcosa per gli altri, per i tuoi figli, per me. Poi se n’è andata. Non ha voglia di piangere. Le dita tamburellano sul bicchiere, il ginocchio si alza e si abbassa, rapide contrazioni del polpaccio. Non è questione di giusto o sbagliato, è questione di miopia. Lei vede fino alla punta del proprio naso, lui molto più in là. E più in là ci sono i vantaggi che ciò che ha fatto garantirà a tutti loro, lei compresa. È lì che si trova la sua generosità. E tutti i sacrifici, la casa, i vestiti? aveva ribattuto. Le lezioni di chitarra e il corso di danza? Tutto questo non lo faccio per voi? No, in realtà lo fai per te stesso, mai solo per gli altri, aveva tagliato corto lei. Silenzio. Il chiacchiericcio prende il sopravvento sugli altri rumori, poi il pianista attacca con un’altra canzone. Il ghiaccio nel bicchiere si è sciolto. Butta giù in un sorso quel fondo tiepido, il retrogusto di Martini si sente appena. Il fatto è: tutti fanno le cose solo per se stessi. Poi, a volte, fanno del bene anche agli altri. Ma è un caso. Si alza e, prima di uscire, va verso il pianista. Ha talento, e sente l’esigenza di dirglielo. Lo raggiunge, aspetta che finisca il brano che sta suonando, e gli dice, bravo, sei proprio bravo. Silenzio. Il ragazzo non si gira. Ehi, ho detto a te, sei davvero bravo. Silenzio. Stupito, alza lo sguardo e incontra quello del barman. Muove appena il mento, aggrotta la fronte, e l’altro si batte due volte l’indice sull’orecchio.  

Film

Blue Jay

Ci sono delle piccole cose che si fanno quando ci si conosce da tanto, anche se sono passati anni. Gesti inconsapevoli che riemergono quando ci si rivede, sguardi d’intesa, parole che assumono un peso diverso. Blue Jay è il ritratto in bianco e nero di tutto questo, accompagnato da qualcosa di doloroso e inafferrabile: un’amara nostalgia. Jim e Amanda si incontrano per caso fra gli scaffali di un supermercato che si ricorda di loro. Sono passati vent’anni dall’ultima volta in cui si sono visti, da quel tempo così lontano in cui erano giovani e innamorati. Sorrisi e silenzio, imbarazzo e stupore. I loro occhi parlano anche se la loro bocca è titubante. E poi, in un battito di ciglia, si ritrovano immersi nei racconti delle loro vite. I ricordi sbiaditi, le promesse spezzate, i progetti disillusi. Pian piano ogni cosa riaffiora. Ed è così realistico il modo in cui accade, perché fra loro c’è un disagio contenuto che sbatte violentemente contro una familiarità tangibile. C’è nei loro sguardi e nelle loro parole la voglia di raccontarsi, di confidarsi e lasciarsi andare. Sono visibilmente frenati, stretti in un contatto che sembra confonderli sempre di più. Finché qualcosa si scioglie. E, fra laboriose fantasie e verità spontanee, Jim e Amanda si perdono in un’emozione più grande di loro.  

I miei racconti

Inadeguatezza

Si muovono in un modo che non comprendi sembrano parlare altre lingue, la loro complicità è inaccessibile. Entri in un discorso cogli il momento, ma il momento passa prima che tu te ne accorga. Le loro parole escono come un filo cadono leggere da una bocca all’altra senza mai annodarsi. E tu invano cerchi di afferrarle, ma non sarai mai un’estremità.

Serie TV

Wanderlust

Sono sempre stata affascinata dalle relazioni, dal modo che hanno di essere tutte una diversa dall’altra. In ogni coppia c’è qualcosa di unico e irriproducibile. Ci sono degli schemi che si ripetono, ma mai nello stesso identico modo. Questa serie tv, fatta di soli sei episodi, prende un’idea del tutto bizzarra e discutibile e ne fa qualcosa di più. Parte con leggerezza, sembra quasi superficiale, finchè puntata dopo puntata il lato drammatico e complesso dietro a un’apparente equilibrio inizia a insinuarsi in ogni scena, in ogni dialogo. E, alla fine, i dubbi e le domande invadono lo schermo. Qual è il limite? Dov’è che l’attrazione diventa sentimento? E si può davvero scindere le due cose? Joy e Alan, sposati da vent’anni e con tre figli ormai grandi, decidono di ravvivare la loro vita coniugale provando ad avere rapporti con altre persone. In un vortice di sincerità e omissioni, la loro idea però gli sfuggirà di mano. Quasi all’improvviso quella che è una piccola fessura nel loro piano perfetto diventerà una voragine. Durante la quinta puntata ci si ritrova come in una bolla, immersi in qualcosa di così intenso che è difficile interrompere. Qualcosa che ha un peso completamente diverso da quello che si è visto fino a quel momento. È violento, profondo, sincero. Diventa un dramma intimistico, una profonda riflessione su se stessi e sulla paura di soffrire. Mi ha davvero spiazzato. E l’episodio conclusivo, il successivo, è un altro groviglio di emozioni. Wanderlust mi è piaciuta tantissimo, l’ho sentita addosso. E quando l’ho iniziata non avrei mai pensato che potesse colpirmi tanto. Quindi beh, che altro dire, guardatela.  

I miei racconti

Connessi a luci spente

La gente stava arrivando da ogni angolo, riempiendo il parco fino a farlo scoppiare. Persone diverse con la stessa espressione, vite parallele unite dalla musica. Erano tutti in cerca di qualcosa, convinti di poterla trovare proprio quella notte. Avevano la faccia di chi spera, di chi crede, anche se non sa ancora in cosa. Lei ballava da sola, gli occhi socchiusi, le mani in alto. Lui si scatenava assieme ai suoi amici, cantava stonando, rideva. Il concerto era iniziato da poco più di un’ora ed erano entrambi impazienti di ascoltare la loro canzone preferita, quella per cui erano lì. La stessa. I Lumineers la suonarono per ultima, a luci spente. Nessuno fra il pubblico si permetteva di cantare sopra a quell’unica voce, nessuno parlava, nessuno ballava. Erano tutti fermi, in attesa di risposte che sarebbero arrivate, risposte a domande che neanche immaginavano. Durante il pezzo era nata una strana connessione fra i due, qualcosa li teneva uniti senza dargli modo di girarsi, senza mai lasciare che si scoprissero. Ballarono assieme senza muoversi, si guardarono negli occhi senza vedersi, riuscirono a malapena a respirare. Erano legati a distanza, costretti in un contatto impalpabile. Due incoscienti con i piedi per terra, persi nella storia di qualcun altro. “Dead Sea” parlava di scommettere su un amore, di vivere fianco a fianco per non affondare mai più. Parole improvvisamente chiare, precise, reali. Le conoscevano a memoria, finalmente le catturarono. Un’istantanea raccolse le loro emozioni, reali come dentro a un sogno. Mancava solo una strofa, pochi attimi prima che tutto finisse. Chiusero gli occhi, immobili, connessi a luci spente. Il vento li spinse uno contro l’altro, stesso respiro, stesso battito. La musica scomparve, loro no.