Chernobyl non è solo il resoconto dettagliato di un disastro, è anche una denuncia dell’inesorabile voglia da parte del governo russo di insabbiare ogni cosa ancora oggi e di mettere le bugie davanti alla verità (il bilancio ufficiale sovietico delle vittime, immutato dal 1987, è di 31).
Una miniserie da brividi, per forma e contenuto. Alcune scene sono state riprodotte fedelmente, dai costumi all’ambientazione, tanto che spesso ci si trova quasi di fronte a un documentario – a tal proposito vi consiglio di vedere questo video in cui la serie viene confrontata con le riprese reali:
Oltre a un lavoro tecnico straordinario, dall’opprimente colonna sonora alla fotografia plumbea, ho apprezzato ancora di più le interpretazioni. Sincere, commoventi, degne del miglior cinema. Jared Harris incarna sgomento e risoluzione, il suo viso contratto non si distende mai dando voce anche senza parole a una preoccupazione crescente. Emily Watson e Stellan Skarsgård impeccabili.
Una storia avvincente e complessa resa benissimo è già un buon risultato. Chernobyl però è qualcosa di più, va oltre il racconto del reale e offre una chiave di lettura applicabile a tante altre situazioni, anche completamente diverse da questa. Il binomio verità – menzogna è dirompente già nella prima scena e si dispiega abilmente nella puntata finale. Quando le bugie diventano troppe c’è un prezzo da pagare, quando la rete di inganni non è più sostenibile il castello di carta crolla e non c’è più niente da fare. Eppure, anche quando la verità viene sbattuta in faccia nel modo più oggettivo possibile, anche quando non c’è spazio per le confutazioni, ci sarà sempre qualcuno che tenterà di negare l’evidenza per non prendersi le proprie responsabilità.
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