Cortomiraggi

Film

Aftersun

Elisa

Aftersun è dolore, cura. Charlotte Wells crea una ferita a poco a poco, la rimargina mentre la crea. Paul Mescal e Frankie Corio la portano in scena con grazia, complicità, spesso lasciano che siano i loro corpi a parlare. Sono Calum e Sophie, un padre e una figlia in vacanza, e sono anche parte di un ricordo sbiadito eppure fortissimo che viene ricostruito da una Sophie ormai adulta. E il loro legame, il modo soprattutto in cui lei ripensa a lui, assomiglia davvero all’effetto della crema doposole. È il tentativo, a fine giornata, di calmare qualcosa che brucia.

DA QUI SPOILER

Quella scena sul finale, quell’incanto tragico sulle note di Under pressure, credo sia una delle cose più belle che abbia mai visto. Sembra quasi che Charlotte Wells abbia affidato alle parole dei Queen e di David Bowie l’interpretazione della storia, senza però riverarla davvero fino in fondo, in modo che ognuno potesse aggrapparsi al proprio sentire. Perché si capisce che quella è la loro ultima danza (This is our last dance), l’ultima occasione (Can’t we give ourselves one more chance?), eppure non è dato sapere cosa succederà dopo, e forse non è neanche importante saperlo. Ciò che resta, ed è straordinaria la naturalezza con cui ci si arriva, è l’incontro tra le età di Sophie e quella immutabile del padre nei suoi ricordi. La Sophie giovane, durante quella vacanza, scoprirà che suo padre è una persona. Scostante, vulnerabile, soprattutto non più indistruttibile. La Sophie adulta, madre, lo inizierà in qualche modo a comprendere ricostruendo i suoi ricordi attraverso immagini sfocate. Ed è lì, proprio lì, che il suo sguardo coinciderà con quello del padre. Anche se solo per un attimo.

È strano, a volte mi affeziono ai film ancora prima di vederli. E poi, guardandoli, capisco perché.

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