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Eshkol Nevo, Tre piani

Elisa

Mi sono avvicinata a Tre piani convinta di dover affrontare una lettura impegnativa, di quelle pregne di concetti alti e riflessioni elaborate. Ero interessata al fatto che il romanzo fosse incentrato sulle istanze freudiane di Es, Io e Super-io e mi aspettavo che le storie raccontate fossero ben inquadrate in schemi psicologici, degli esempi a dimostrazione delle teorie.

Le prime pagine mi hanno smentito e mi sono trovata immersa in un monologo concitato di un uomo alle prese con dilemmi interiori e impulsi difficili da gestire. Ho finito il capitolo relativo al primo piano tutto d’un fiato e ho capito che l’autore di Tre piani era ben lontano dal dare spiegazioni di natura scientifica, ma che si sarebbe servito di quei tre concetti per illustrare l’interiorità dell’uomo senza mai etichettarla.

Se il primo piano fa riferimento al mondo degli impulsi, il secondo e il terzo riguardano rispettivamente quello in cui desiderio e realtà cercano di accordarsi e quello del richiamo all’ordine. Nevo usa tre modalità diverse per i suoi racconti: la conversazione con un amico che però non interagisce mai, la lunga lettera a un’amica e dei messaggi lasciati in una vecchia segreteria telefonica. Anche la scrittura si adegua al personaggio di volta in volta descritto, mettendo in mostra non solo l’abilità di questo scrittore ma anche la sua volontà di rendere le personalità più variegate e palpabili.

Le emozioni e i ragionamenti descritti in Tre piani fanno parte di ognuno di noi, di quella lotta continua tra cuore e cervello e della difficoltà di trovare un punto d’incontro. Nevo ci regala tanti flussi di coscienza e pochi giudizi, ci mette in una posizione in cui analizzare ogni cosa non è possibile. Tra finali sospesi e mancanza di risposte queste tre storie mostrano la realtà in continuo divenire a cui apparteniamo.

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