In The bear la prima stagione mostra il caos di Carmy, la frenesia della cucina specchio della sua, la seconda l’apertura verso altro da sé (i focus sulle persone intorno), la terza la stasi, simboleggiata da quel frigorifero che sembra non essersi mai aperto, e la quarta la pace, ovvero ciò di cui ha più paura. È lui ad ammetterlo, protetto sotto un tavolo, circondato da persone a cui vuole bene. Una pace, in attesa di un’altra onda, che però non risiede nelle cose conosciute, nella passione a cui ha dedicato l’intera esistenza. Si accorge di non sapere chi è al di fuori della cucina e di volerlo scoprire, capisce che – come gli viene detto in più occasioni – non deve più dimostrare niente a nessuno. Non ha mai dovuto farlo. E se non vive più l’amore di prima per il suo lavoro va bene lo stesso, può lasciarlo andare. Perché è stato capace di provarlo.
Per arrivare all’ultima puntata con un Carmy desideroso realmente di pace, che giustamente non è mai assenza di conflitti, si passa attraverso caos, condivisione, stasi e, infine, ripetizione di giorni all’apparenza identici. Con un tempo che passa anche quando non sembra passare.
La ripetitività delle giornate evidenziata all’inizio della quarta stagione di The bear è collegata in modo esplicito al film Ricomincio da capo, quello in cui Bill Murray rivive all’infinito il giorno della marmotta. Si tratta di un filone fertile, usato ad esempio in Palm springs o È già ieri, che a volte è solo un espediente e altre ha una funzione fondamentale, come accade in Russian doll. Nadia, la protagonista della serie di e con Natasha Lyonne, necessita di azzerare la sua vita continuamente per poterla affrontare. E in comune con Carmy, anche se i piani della realtà sono diversi, ha l’assimilazione di traumi soppressi.
Se il filone time loop vi incuriosisce vi consiglio anche l’episodio La testimone (1×08) di Love, death & robots diretto da Alberto Mielgo. Stupendo.