Film

Blue Jay

Ci sono delle piccole cose che si fanno quando ci si conosce da tanto, anche se sono passati anni. Gesti inconsapevoli che riemergono quando ci si rivede, sguardi d’intesa, parole che assumono un peso diverso. Blue Jay è il ritratto in bianco e nero di tutto questo, accompagnato da qualcosa di doloroso e inafferrabile: un’amara nostalgia. Jim e Amanda si incontrano per caso fra gli scaffali di un supermercato che si ricorda di loro. Sono passati vent’anni dall’ultima volta in cui si sono visti, da quel tempo così lontano in cui erano giovani e innamorati. Sorrisi e silenzio, imbarazzo e stupore. I loro occhi parlano anche se la loro bocca è titubante. E poi, in un battito di ciglia, si ritrovano immersi nei racconti delle loro vite. I ricordi sbiaditi, le promesse spezzate, i progetti disillusi. Pian piano ogni cosa riaffiora. Ed è così realistico il modo in cui accade, perché fra loro c’è un disagio contenuto che sbatte violentemente contro una familiarità tangibile. C’è nei loro sguardi e nelle loro parole la voglia di raccontarsi, di confidarsi e lasciarsi andare. Sono visibilmente frenati, stretti in un contatto che sembra confonderli sempre di più. Finché qualcosa si scioglie. E, fra laboriose fantasie e verità spontanee, Jim e Amanda si perdono in un’emozione più grande di loro.  

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(500) days of Summer

(500) days of Summer è il film che mi ha avvicinato al cinema indipendente.È agrodolce, sincero, romantico; è quel tipo di commedia che vorresti vedere dopo una giornata pesante, con la pizza in una mano e la testa nell’altra. Il ritmo incalzante, fatto di continui salti fra presente e passato, tiene alta l’attenzione sulle note di pezzi incredibili, come There is a light that never goes out degli Smiths. La facilità  poi con cui ci si immedesima nelle paranoie di Tom è disarmante. Perchè quando una persona ti piace, ti piace e basta. E ci costruisci castelli, supposizioni, illusioni che non si fermano neanche di fronte a una porta in faccia, neanche quando la persona da cui sei attratto ti dice che non crede nell’amore. C’è in ogni più piccola sfumatura di questo film la sensazione del totale annebbiamento da cotta. Una delle scene più belle lo illustra perfettamente dividendo lo schermo in aspettative e realtà: da una parte vediamo quello che Tom nella sua testa sperava succedesse e dall’altra quello che succede veramente. Geniale.E tutti, in un modo o nell’altro, sanno cosa di cosa sto parlando. (500) days of Summer è un film che alleggerisce il cuore e allo stesso tempo lo scalda. Tira fuori paure e emozioni condivisibili e quotidiane, e trasmette perfettamente quell’emozione descritta nel più bel film di Pieraccioni: “Il ciclone, quando arriva, ‘un t’avverte. Passa, piglia e porta via. E a te ‘un ti resta che rimanere lì, bono, bono a guardare e a capire che se ‘un fosse passato, sarebbe stato parecchio, ma parecchio peggio”.    

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Frances Ha

La prima volta che ho visto Frances Ha ho sperato che non finisse mai. Mi ha tenuto come appesa a un’emozione bellissima, mi ha fatto sentire compresa. Mentre guardavo i titoli di coda avevo addosso una sensazione di infinito conforto, era come se avessi parlato con un vecchio amico, uno di quelli che quando ti dice “andrà tutto bene” gli credi davvero.

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Begin again

Begin Again parla di musica, di emozioni, di riscatto, di vite spezzate in attesa di ricomporsi. E lo fa con una grazia e un’ironia sottile che chi ama il cinema indipendente conosce molto bene.

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Revolutionary Road

April: Tu non vuoi andare, vero? Frank: Ma dai, April, certo che voglio. April: No, non vuoi… perché non ti sei mai provato in nulla e se non ti provi in nulla, non puoi fallire. Frank: Che diavolo vuol dire “non mi provo”? Io provvedo a te, non è così? Io pago per questa casa, io fatico dieci ore per un lavoro che detesto. April: Non sei tenuto a farlo! Frank: Ma che stronzate! Senti, non la chiamo felicità ma ho la spina dorsale per non sfuggire alle mie responsabilità. April: Ci vuole spina dorsale per vivere la vita che vuoi, Frank! Ci vuole spina dorsale anche per affrontare questo film. È un pugno allo stomaco; diretto, spietato, senza esitazioni. In Tutti giù per terra Mastandrea parlando di libri dice “Quelli che ti fanno stare male ti fanno stare male bene. Anzi, più fanno stare male e meno male sto”. Ecco, credo che per questo film valga lo stesso. Tratto dall’omonimo romanzo di Richard Yates del 1961 Revolutionary Road è diretto da Sam Mendes (American Beauty) e interpretato da Leonardo DiCaprio e Kate Winslet, Stati Uniti, anni 50. April e Frank sono lo stereotipo della famiglia felice con due figli e una staccionata bianca. O meglio, questo è quello che vogliono far credere. In realtà la crisi coniugale fra i due è fin da subito evidente e quel delicato castello di apparenze sarà sempre più sul punto di crollare. Fra tradimenti e illusioni, Revolutionary Road restituisce lo spaccato di una realtà dolorosa e verosimile. È una storia tenuta in piedi da un’ottima sceneggiatura e da due attori che in questo film raggiungono livelli di drammaticità da brividi. Una nota di merito va all’intensa colonna sonora realizzata da Thomas Newman, stretto collaboratore di Mendes.