Domenica sera ho visto All of you di William Bridges, un dramma sentimentale alla Past lives con una premessa tecnologica (e distopica) che si rivela solo un piccolo espediente. In breve: lui e lei sono amici molto affiatati, esiste un test per scoprire la propria anima gemella, lei lo fa e incontra l’uomo della vita, quello con cui costruirà una famiglia. Il tutto si sviluppa tra salti temporali nel corso di una decina d’anni, mostrando lui e lei in una relazione che non sempre è solo amicizia.
Cast azzeccato, tonalità fredde ed eleganti, vibes di un album di Novo Amor. Contenitore fortissimo, ma contenuto quasi assente. I dialoghi si accavallano e non parlano, la trama non è abbastanza articolata da compensare, la visione registica nemmeno. Quando ho spento la tv, ho cercato chi fosse William Bridges e ho scoperto che aveva sceneggiato All of you insieme a Brett Goldstein (anche interprete del film) e aveva già esplorato la stessa combinazione di amore e algoritmi, sempre con Goldstein, in Soulmates nel 2020. Una serie di cui non ricordo nulla, se non l’estetica un po’ eterea e alcune facce note, come quella di Sarah Snook. È curioso perché, a cinque anni di distanza e con l’idea di un test simile più vicina, All of you potrebbe benissimo essere stato un episodio dimenticabile di Soulmates.
Negli ultimi anni tra amore e distopia hanno viaggiato molti autori, da Lanthimos con The lobster a Jonze con Her, da Doremus con Equals a Schrader con I’m your man, e con gli algoritmi miracolosi anche, ci hanno provato per esempio i creatori della serie francese Osmosis nel 2019, di cui forse Soulmates è la risposta americana. Ma tornando alla premessa specifica di All of you, ovvero l’invenzione di un modo per scoprire il match perfetto e le sue conseguenze, l’opera più sorprendente sul tema credo rimanga Hang the DJ, quarto episodio della quarta stagione di Black Mirror, uscito quasi dieci anni fa e probabilmente più urgente e corposo ora di allora.