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Big Little Lies

Big Little Lies è composta solo da sette episodi ed è diretta da Jean-Marc Vallée, regista di Dallas Buyers Club e Wild. È una serie in cui i drammi familiari si intrecciano e si moltiplicano, tirando fuori i segreti più intimi di personaggi all’apparenza perfetti. Ogni dettaglio mostra sempre di più il contrasto tra apparenza e realtà, tra facciata e sostanza, tra detto e non detto. Il lato tecnico, dalla fotografia alla colonna sonora, fa da perfetta cornice a una storia in cui prevalgono sceneggiatura e interpretazioni (Alexander Skarsgård sorprendente). La macchina da presa sembra entrare nelle case senza permesso, concedendo allo spettatore un quadro completo che invece sfugge ai personaggi. Una tecnica che attenua i colpi di scena, ma che permette di provare uno sgomento maggiore nel momento in cui tutte le verità verranno rivelate nell’intenso e travolgente episodio finale. La seconda stagione (con l’aggiunta nel cast di Meryl Streep) andrà in onda il prossimo anno.

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Peaky Blinders

Il fascino del lato tecnico di Peaky Blinders è indescrivibile. Varrebbe la pena guardarla solo per la fotografia e la colonna sonora (che spazia da Nick Cave agli Arctic Monkeys), ma il bello è che c’è anche molto di più. Dentro c’è l’amore, la fratellanza, la lealtà, la politica, la criminalità. L’intreccio, soprattutto nelle prime stagioni, si sviluppa lentamente dandoti il tempo di prendere confidenza coi personaggi, con il periodo storico e con le innumerevoli tematiche che affronterà. Ho trovato questa lentezza un valore aggiunto, mai un difetto, perchè permette di scavare più a fondo e di apprezzare maggiormente la tensione che affiorerà puntata dopo puntata in un crescendo di emozioni. Una nota di merito, fra le tante, va al cast: impeccabile. Dagli sconosciuti ai volti più noti, ognuno di loro contribuisce magnificamente alla bellezza della serie. E la presenza di Adrien Brody nella quarta stagione alza ancora di più un livello già ottimo. Vi consiglio infatti la visione in lingua originale per cogliere le differenze tra i vari accenti e godere di ogni sfaccettatura.

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Il metodo Kominsky

Il metodo Kominsky  è una serie di soli 8 episodi di circa mezz’ora, è praticamente un film molto lungo. Ed è una delle più belle scoperte di questo autunno. Ideata da Chuck Lorre (creatore di Big Bang Theory) e prodotta da Netflix, Il metodo Kominsky alterna dramma e commedia con naturalezza e velocità. Un momento sei colpito al cuore da una scena commovente, quello dopo sorridi per una battuta perfetta. Ed è esattamente la peculiarità delle migliori sit-com, genere che in questo caso calza a pennello. Norman e Sandy sono due amici alle prese con tutti i problemi tipici dell’incalzare degli anni, fra acciacchi e paura della solitudine. Due personalità differenti che si scontreranno con scelte e situazioni inaspettate in modo diverso, facendo emergere la bellezza di un’amicizia onesta fra caratteri opposti. Alan Arkin e Michael Douglas sono ovviamente formidabili: i dialoghi fra loro, il modo in cui si muovono, il loro carisma, ogni cosa è studiata e ineccepibile. E questo è senz’altro il punto di forza dell’intera serie, che proprio per questo va gustata rigorosamente in lingua originale. P.S. Una serie TV molto simile e ugualmente bella è Grace and Frankie con Jane Fonda e Lily Tomlin (anch’essa disponibile su Netflix).

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My mad fat diary

My mad fat diary è diversa da qualsiasi altra serie TV adolescenziale. È geniale, sfacciata, senza filtri. Non è stereotipata e non è visivamente bella, anzi all’inizio è straniante. I personaggi sono talmente realistici, pieni di difetti e stranezze, confusi e impulsivi, che risulta quasi difficile affezionarsi. Forse perchè non siamo abituati a vedere una realtà imperfetta e poco armonica, in cui la protagonista non è una ragazza che diventa improvvisamente bellissima dopo aver tolto gli occhiali. Rae è appena uscita da un istituto psichiatrico in cui ha passato quattro mesi quando, una volta tornata a scuola, prova a iniziare una nuova vita. È una sedicenne piena di problemi, a casa, a scuola, con gli amici, con i ragazzi. Ma soprattutto con se stessa. Si sente continuamente sbagliata e troppo strana, convinta di non meritare niente di buono. Le paranoie tipiche di quell’età sono in lei amplificate; ma ci sono dei meccanismi di difesa, dei pensieri, che sono del tutto condivisibili, come la paura di non essere accettati e di non trovare mai il proprio posto nel mondo. Ed è proprio questo che la rende emotivamente potente. Non ho mai visto trattare le tematiche dell’adolescenza in questo modo, le sensazioni di disagio e frustrazione sono palpabili, sembra di viverle in prima persona. Rae si racconta allo spettatore senza riflettere, senza costruirsi. Le sue parole prendono vita con fumetti e disegni e le sue emozioni sono trasparenti, nel bene e nel male. E tutto avviene sulle note di canzoni perfette, da Wonderwall degli Oasis a Fake plastic trees dei Radiohead. Qualcosa di davvero fantastico. Questa è una serie emotivamente potente, anche per chi adolescente non lo è più.   P.S. La trovate tutta su YouTube.

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Wanderlust

Sono sempre stata affascinata dalle relazioni, dal modo che hanno di essere tutte una diversa dall’altra. In ogni coppia c’è qualcosa di unico e irriproducibile. Ci sono degli schemi che si ripetono, ma mai nello stesso identico modo. Questa serie tv, fatta di soli sei episodi, prende un’idea del tutto bizzarra e discutibile e ne fa qualcosa di più. Parte con leggerezza, sembra quasi superficiale, finchè puntata dopo puntata il lato drammatico e complesso dietro a un’apparente equilibrio inizia a insinuarsi in ogni scena, in ogni dialogo. E, alla fine, i dubbi e le domande invadono lo schermo. Qual è il limite? Dov’è che l’attrazione diventa sentimento? E si può davvero scindere le due cose? Joy e Alan, sposati da vent’anni e con tre figli ormai grandi, decidono di ravvivare la loro vita coniugale provando ad avere rapporti con altre persone. In un vortice di sincerità e omissioni, la loro idea però gli sfuggirà di mano. Quasi all’improvviso quella che è una piccola fessura nel loro piano perfetto diventerà una voragine. Durante la quinta puntata ci si ritrova come in una bolla, immersi in qualcosa di così intenso che è difficile interrompere. Qualcosa che ha un peso completamente diverso da quello che si è visto fino a quel momento. È violento, profondo, sincero. Diventa un dramma intimistico, una profonda riflessione su se stessi e sulla paura di soffrire. Mi ha davvero spiazzato. E l’episodio conclusivo, il successivo, è un altro groviglio di emozioni. Wanderlust mi è piaciuta tantissimo, l’ho sentita addosso. E quando l’ho iniziata non avrei mai pensato che potesse colpirmi tanto. Quindi beh, che altro dire, guardatela.