Serie TV

True Detective 3

La terza stagione ritrova l’atmosfera della prima, fatta di silenzi assordanti e lunghe pause, di sguardi penetranti e poche parole. Coinvolge e affascina presentando un intreccio che si sviluppa su più piani e che come punto focale non ha tanto le indagini ma la memoria. Arkansas, anni Ottanta. Due fratelli di 10 e 12 anni, Will e Julie Purcell, un pomeriggio si allontanano da casa in bicicletta e non fanno ritorno per cena. I genitori preoccupati danno l’allarme e il caso viene affidato al detective Hays e al suo partner Roland West che dovranno fin da subito fare i conti con qualcosa di difficile da decifrare. I rimandi a Rust e Marty sono numerosi, ad esempio attraverso le iconiche scene in auto e le lunghe inquadrature dei paesaggi, ma circa dalla metà la serie acquista una bellezza tutta sua e si entra in un altro orizzonte, in cui il caso assume sempre meno importanza e emerge invece la storia di un uomo anziano con un “cervello pieno di pezzi mancanti”. Vediamo la sua vita scandita in tre decenni, lo vediamo giovane e determinato, audace e innamorato, solo e confuso. E osserviamo ogni passaggio attraverso i suoi occhi, in un puzzle fatto di ricordi annebbiati che a volte sembrano schiarirsi e altre portano solo a ragionamenti senza via d’uscita. All’inizio questo continuo salto temporale sembra servire solo a capire lo sviluppo delle indagini, ma col tempo si rivela più che altro un veicolo perfetto per raccontare una vita fatta di sbagli e intuizioni, di amore e integrità, e inesorabilmente segnata da un caso irrisolto. L’interiorità del detective Wayne Hays straborda e attira puntata dopo puntata, ed è la parte più interessante dell’intera storia.

Film

Copia originale

Ho avuto l’occasione di vedere in anteprima Copia originale, un biopic ironico e brillante candidato a tre premi Oscar.

Musica

Damien Rice

Credo di aver scoperto Damien Rice grazie ai telefilm, alcuni dei suoi brani infatti sono stati usati ad esempio in O.C. o Dr. House. Ma è stato solo dopo aver visto Closer di Mike Nichols, in cui The Blower’s Daughter fa da cornice a un incipit perfetto, che ho iniziato ad ascoltare questo artista con più attenzione. Nel 2002 Damien Rice pubblica il suo album d’esordio O senza appoggiarsi a una grande casa discografica, producendosi anzi autonomamente. Il successo arriva praticamente subito, le sue canzoni spopolano non solo in Gran Bretagna e Irlanda ma in tutto il mondo, e l’anno dopo vince anche il Shortlist Music Prize. L’album è una meraviglia, delicato e graffiante, cupo ma anche pieno di vita. Oltre alla canzone più famosa, la già citata The Blower’s Daughter, in O ci sono anche Delicate e Cannonball. Quest’ultima è incredibile, melodie dolci si intrecciano alla nostalgia del testo mentre la sua voce è a un passo dallo spezzarsi. Come se trattenesse un pianto, un magone, ma senza mai rivelarlo e anzi trasmettendo una sensazione di profondo coraggio. Nel secondo album troviamo 9 crimes, una ballata che con suoni familiari spezza il cuore. Cantata insieme a Lisa Hannigan, sua collaboratrice fin dall’inizio, è indubbiamente una delle sue opere migliori. Il terzo disco, uscito nel 2014, è My Favourite Faded Fantasy in cui spicca I don’t want to change you. In generale il suo stile negli anni resta invariato, pur sperimentando verso il folk o verso il rock. Ciò che colpisce di lui infatti è da ricercarsi nell’animo, nella sensibilità, nella sua capacità di capirti e confortarti anche nei momenti più difficili. Le sue canzoni hanno questo potere, e non è poco.

Serie TV

Sex Education

Sfacciata, leggera, di una sensibilità inaspettata. Sex Education è confusa e imbarazzante come l’animo di un adolescente, è impulsiva e fragile, è profonda e anche superficiale. È una serie che rompe gli schemi, che interroga, che risponde a domande inopportune e dà importanza a emozioni e realtà spesso nascoste. E lo fa alla grande. La madre di Otis, Jean, è una sessuologa affermata e questo ha sempre creato nel ragazzo un forte imbarazzo. Allo stesso tempo lo ha reso però molto preparato sull’argomento, ed è proprio grazie alle sue conoscenze che, con l’aiuto della ribelle Maeve, si ritroverà a fare terapia ai suoi coetanei. La trama è fin da subito intrigante e divertente, e già dai primi episodi si coglie una certa originalità nel parlare così apertamente di qualunque cosa. Di questa serie mi ha colpito soprattutto l’abilità con cui è riuscita a non scadere mai nel volgare. Anzi, ha preso un tema rischioso e l’ha portato sullo schermo con naturalezza, inserendo tra una battuta e l’altra momenti di vera riflessione. Momenti che forse per un adolescente possono essere l’occasione per conoscere cose che non ha mai osato chiedere, cose di cui si vergogna, cose che non sa se sono normali o meno. Sex Education infatti ha un grande pregio: non punta alla perfezione, non fa vedere come un adolescente modello dovrebbe vivere. Ogni personaggio, da quello che sembra più realizzato a quello più strano, è meravigliosamente imperfetto e in divenire. Alcuni sono acerbi, altri sono cresciuti troppo in fretta, altri ancora si nascondono perfino a sé stessi. Nessuno è perfetto, nessuno deve esserlo. I dialoghi brevi, i colori, la regia sono in qualche modo tradizionali, simili a qualcosa che abbiamo già visto. Una colonna sonora azzeccatissima e una buona dose di umorismo british poi rendono il tutto ancora più gradevole. Questa familiarità, questa sensazione di condivisione immediata, permette di non avere pregiudizi riguardo ai temi trattati e anzi li rende ancora più vicini e tangibili. Esattamente come dovrebbe essere nella vita di tutti i giorni.

I miei racconti

Euforia controllata

Aveva un succo di frutta in una mano e un orecchio nell’altra. Non rideva, guardava fuori dal finestrino. Non era abbastanza grande per appoggiare i piedi a terra, ma aveva un posto tutto per sé. Era silenzioso. Aveva gli occhi scuri come la pelle e una maglietta verde chiaro. Suo padre gli era seduto accanto, con la camicia sbottonata e un libro sulle gambe. Due persone semplici, gente qualunque su un treno affollato. Alla fermata salì un ragazzo sui vent’anni, arrivò di corsa a prendersi l’unico posto libero, proprio di fronte a loro. Intanto il bambino aveva finito il succo e non guardava più fuori, guardava suo padre. C’era nei suoi occhi quell’ammirazione tipica dei bambini, quell’amore incondizionato che non ha niente a che fare con i compromessi. All’improvviso il padre si girò verso suo figlio, e lui cominciò a ridere. Il bambino era riuscito ad avere la sua attenzione e adesso poteva anche tornare a guardare fuori. In quell’attimo non era successo proprio niente di particolare, scene del genere si vedono tutti i giorni. Eppure qualcosa c’era, altrimenti perché quel ragazzo si alzò di scatto per allontanarsi? Perché scappare di fronte a qualcosa di bello? Iniziò a correre lungo il vagone, con delle inspiegabili lacrime agli occhi e una voglia improvvisa di scendere. Quel ragazzo non aveva un figlio, né un padre assente o sbagliato. Non c’era alcun motivo razionale per comportarsi in quel modo. Eppure era fuori di sé, incredulo di fronte a se stesso. Avrebbe dovuto aspettare altre due fermate, ma scese appena le porte si aprirono. In quei giorni era così confuso riguardo alla sua scelta universitaria, era bombardato dalle parole di amici e parenti e non aveva mai avuto un momento per pensare con la sua testa. Quella scena lo aveva svegliato. Si era visto. E quando ti vedi non c’è niente da fare, capisci tutto senza capire niente. Sei confuso e sollevato allo stesso momento, sai cosa devi fare ma hai così tanta paura di sbagliare che ti trovi bloccato. Come quando prendi una sbandata per qualcuno. Euforia controllata. Arrivò in una stazione sconosciuta, trovò una panchina e rimase lì qualche minuto. Lo sguardo nel vuoto e la testa fra le mani. Mille domande, una sola risposta. Voleva vedere più scene come quella, ogni giorno, in tutto il mondo. Voleva renderlo possibile, voleva aiutare. Voleva vedere il sorriso di quel bambino sul viso di altri bambini. Voleva fare qualcosa, qualsiasi cosa, per strappare un po’ di gioia a chi non aveva avuto la fortuna di nascere in un paese come il suo. Gli sembrava un pensiero banale, ma non si era mai sentito così sicuro. Il giorno dopo disse ai suoi genitori che per il momento non si sarebbe iscritto a nessun corso di laurea. Avrebbe viaggiato, cercando se stesso negli occhi degli altri, trovando la sua strada senza doverla cercare. Un giorno sarebbe tornato, ma non era quello il momento di fermarsi. Rimase all’estero per poco più di un anno. Tornò a casa e si iscrisse a medicina, senza ripensamenti, senza obiezioni. Voleva fare la differenza. Era un medico ormai affermato il giorno in cui incontrò di nuovo quel sorriso e quegli occhi di cioccolato. Stava tenendo una lezione in ospedale e aveva appena fatto una domanda ai suoi studenti. Uno di loro alzò la mano dal fondo della stanza. Il bambino era diventato un uomo, e ovviamente non poteva ricordarsi di lui. Rispose correttamente e tornò a mimetizzarsi fra i suoi compagni. Quel ragazzo gli aveva cambiato la vita, senza saperlo, senza volerlo. Avrebbe voluto correre da lui e dirglielo, ma lo lasciò andare via con gli altri, convinto che quel segreto dovesse rimanere solo nel suo cuore. E in quel sorriso. Si rese conto di quanto anche la sua stessa vita potesse diventare lo specchio per quella di qualcun altro, come era successo a lui quel giorno sul treno. Una scena quotidiana, un banale sorriso, e lui si era improvvisamente visto. Una magia di un attimo, un segreto da non rivelare. Fece uscire tutti gli studenti, guardandoli andare via lungo il corridoio. Ma il ragazzo si girò verso di lui, sorrise e si voltò di nuovo. Forse l’aveva fatto per educazione, forse perché voleva inspiegabilmente fargli vedere ancora quel segreto. Eppure il medico non aveva dubbi, gli occhi di quel ragazzo si stavano specchiando nei suoi. Non avrebbe mai saputo che cosa vide in lui quel ragazzo dalla pelle scura, come lui non saprà mai quanto è stato importante per quell’uomo col camice bianco. Ma la magia di quel momento non poteva mentire, le sensazioni di euforia controllata non sono mai spiegabili. I loro corpi non si incontrarono mai più, ma non potevano essere più vicini. Ormai si vedevano, sempre.