Knives Out fa ridere, tanto. E il bello è che lo fa in modo indiretto, scatenando risate che derivano da situazioni paradossali e inaspettate. Il tutto mentre si accavallano indizi e piste da seguire, confessioni e bugie. C’è proprio un’astuzia deliziosa in questo film.
In Marriage Story sembra non ci sia bisogno neanche di un’ambientazione, solo di una camera spoglia. I personaggi sono definiti, palpabili, veri. Ogni scena porta con sé un fardello emotivo enorme, a volte fatto di piccoli gesti e sguardi fissi, altre di parole urlate e sottintesi. Mi ha spezzato più volte con estrema dolcezza, spesso in quegli attimi silenziosi difficili da afferrare. Ma i non detti, si sa, fanno rumore.
Good Omens è intrattenimento di alta qualità, in cui non mancano sprezzanti critiche al mondo di oggi e scambi di battute brillanti. A volte l’intreccio è fin troppo fitto e complicato, ma forse il bello è anche questo. Perché è eccentrica, esagerata, originale, segue regole tutte sue. E, soprattutto, distrugge ogni pregiudizio possibile.
Esiste una pratica orientale usata soprattutto nella meditazione che consiste nel concentrarsi su ogni parte del corpo partendo dai piedi. Sembra un esercizio banale e sciocco, ma in realtà permette di prendere consapevolezza di sé, di uscire dalle proprie abitudini e focalizzarsi su cose che diamo per scontate. Dalle unghie dei piedi ai lobi delle orecchie. J’ai perdu mon corps mi ha trasmesso questa semplice e fondamentale sensazione, trascinandomi in una sequenza delicata e poetica di esperienze sensoriali che spesso prescindono da un senso logico.
The Irishman è una visione lenta, studiata, faticosa, è come vedere un tramonto che stenta a svanire. Un tramonto di rara e malinconica bellezza.