Dopo una breve apparizione nelle sale cinematografiche The Irishman è finalmente disponibile su Netflix.
Martin Scorsese riunisce tre degli attori più grandi di sempre per raccontare una storia lunga una vita e in cui si intravede la fine di un’era. Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci sono un trio eccezionale, ma anche gli altri non sono da meno, da Ray Romano a Anna Paquin, da Harvey Keitel a Bobby Cannavale. Un cast e una produzione che già a priori è una certezza. Come se non bastasse Scorsese decide di servirsi al massimo anche delle nuove tecnologie, usando una costosa tecnica di ringiovanimento digitale che gli ha permesso di ritrarre la storia vera del sicario Frank Sheeran nel modo più realistico possibile.
La trama potrebbe risultare sempre la stessa: gangster, politica, mafia, omicidi e tradimenti. Lo sguardo però è crepuscolare, è tendente a una fine inequivocabile già dall’inizio, è una riflessione ampia e dettagliata sulla vita e sulle conseguenze delle proprie azioni, “sul tempo che corre veloce”. The Irishman è una visione lenta, studiata, faticosa, è come vedere un tramonto che stenta a svanire. Un tramonto di rara e malinconica bellezza.
Devo dire però che, per quanto raffinata e calibrata, non è stata la sequenza di eventi a colpirmi. In questo film io ho visto il passato, ho assaporato la storia del cinema con i suoi ormai radicati e imponenti pilastri, ho sentito la forza di un’arte che sopravvive di fronte alle logiche di mercato e che anzi si impone con le sue tre ore e mezza senza snaturarsi. The Irishman dimostra che il cinema, quello d’autore, quello libero da ogni costrizione, è ancora possibile. Forse cambierà il modo in cui lo potremmo vedere, forse lo troveremo di più su una piattaforma streaming che in tutte le sale del mondo, ma non smetterà mai di esistere.
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