L’ultimo animale

Nel weekend ho visto un TED talk intitolato Reality is made of illusions—and we need them tenuto da Susana Martinez-Conde, in cui la neuroscienziata espone con chiarezza come si comporta il nostro cervello in certe situazioni. Attraverso esperimenti semplici e visivi, che chi guarda può fare sul momento, diventa di volta in volta evidente quanto si tende a cercare la coerenza. In questo caso ottica, vedendo ad esempio linee dritte invece di storte, ma anche in senso più ampio, costruendo illusioni che ci aiutano a tenere insieme la realtà. A volte, come nel caso di After the hunt, le illusioni hanno a che fare con la morale.

Nel film di Luca Guadagnino, Julia Roberts interpreta un’insegnate di filosofia di Yale con una studentessa preferita e un collega preferito. Una notte, la ragazza le confessa di essere stata molestata da lui, cosa che lui negherà, mettendo l’insegnante in una posizione instabile. L’intera storia, in cui tutti i narratori sono inaffidabili, si svilupperà intorno al concetto di verità soggettiva di Kierkegaard, mettendo in crisi le illusioni di moralità. Guardarla farà tornare alla mente film come Il sospetto o Anatomia di una caduta, ma aggiungerà anche una punta di fastidio.

After the hunt, infatti, punge nel vivo una certa ipocrisia culturale, in modo allusivo con la scelta del font tipico dei film di Woody Allen (per parlare della sua discussa e attinente storia o per omaggiare i suoi film?) e con smacco gettando ambiguità sul Me too. Attraverso un tono più comico e leggero, aveva fatto un’operazione simile Seth Rogen nel settimo episodio della sua The studio, evidenziando la fatica di essere esseri umani intrappolati tra il bene e il male.

[dal numero L’ultimo animale della newsletter cortomiraggi su substack]