Perdersi è un’agonia

Tu mi ami mai?
Perdersi è un’agonia

(Verdena, Sui ghiacciai)

Il sudore mi appiccicava i vestiti, il vento caldo li stropicciava. Ero appena uscita dal Palabiennale dopo la proiezione di Queer e avevo dimenticato gli occhiali da sole. Il passaggio dal buio della sala al bianco soleggiato degli edifici mi aveva stordito, accecato. E quel film, con la sua bellezza lacerante, aveva fatto lo stesso. Si era ancorato a qualcosa che dentro di me aveva risuonato con ferocia, qualcosa dentro cui non mi andava tanto di stare. Rivedendolo al cinema, parecchi mesi più tardi, in quella cosa ci sono tornata a fatica, ma ho capito un po’ meglio di cosa si trattava. In Queer, Luca Guadagnino sviscera la solitudine esistenziale attraverso la storia di un uomo che per colmarla farebbe di tutto. C’è la ricerca di connessione con l’altro, il desiderio disperato di poter parlare senza dover parlare. C’è l’onirico, il magico. Eppure ciò che racconta è profondamente reale, o almeno lo è per me. Mi fa toccare un abisso che conosco.

Questa sensazione di avere “i vampiri alla mia porta”, l’avevo provata anche guardando Estranei di Andrew Haigh, in cui appunto si cita la canzone The power of love. Si tratta di una storia di spettri e ferite mai rimarginate, anche questa con sfumature queer (a proposito, non credete ci sia un po’ di Happy together dentro Queer ed Estranei?) in cui però è il passato a prendere spazio. Il protagonista, infatti, è orfano fin da bambino e, quando un giorno torna nella sua casa d’infanzia da adulto, incontra i fantasmi dei suoi genitori. Non può cambiare il passato, ma ci può dolorosamente giocare.

Proprio come fa Phillip in Eulogy, il quinto episodio della settima stagione di Black mirror. Solo che qui il gioco è su un piano distopico, all’interno di un futuro non poi così lontano in cui la tecnologia è avanzata al punto da permettere alle persone di entrare dentro vecchie fotografie. Una foto tra le dita, un chip sulla tempia, e improvvisamente ci si ritrova dentro l’immagine che si ha in mano. Formidabile, come yage e visioni dei propri cari, finché non arriva l’abisso. E perdersi lì dentro è un’agonia.