Patricia, citando William Faulkner, si rivolge a Michel e gli dice «Fra il dolore e il nulla io scelgo il dolore» chiedendogli poi: «E tu, cosa sceglieresti?». Ne parlano un po’, si distraggono, si guardano. Per più di mezz’ora la macchina da presa non si sposta da quella camera da letto. Uno spaccato di vita. Semplice, quotidiana, reale. Mi ha ricordato quei rari momenti in cui parli con qualcuno che sembra capire tutto di te, qualcuno che ti ascolta e sorride, qualcuno che è capace di fermare il tempo. Ma non ero certa di aver mai provato qualcosa di simile. Quel giorno Godard mi insegnò che si può andare avanti anche stando fermi, che si può conoscere anche senza parlare.
Qualche anno dopo mi imbattei di nuovo in A bout de souffle. Era fra gli scaffali di una libreria, in offerta a due euro. Era un giorno d’estate, il giorno prima di un esame importante, e io invece di studiare avevo passato la giornata a parlare con due amiche, passeggiando per le strade del centro e discutendo dei massimi sistemi del mondo. Era uno di quei giorni perfetti in cui le cose riescono a incastrarsi senza il minimo sforzo. E ancora non sapevo che quelle due ragazze sarebbero diventate due delle persone più importanti della mia vita. Due punti fermi, due certezze.
Quella sera riguardai il film insieme a loro e ritrovai la stessa sensazione di serenità e dolore che quella scena mi aveva trasmesso. -Guardai le mie amiche emozionarsi per quella scena. Perchè era reale, noi eravamo reali, quel momento l’avevamo appena vissuto. E il tempo si era fermato davvero.
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