Soul, uscito il 25 dicembre su Disney plus, è il regalo di Natale che tutti noi ci meritiamo. Nel nuovo lavoro di Pete Docter troviamo concetti molto cari alla Pixar, soprattutto quelli espressi in Inside out e Coco, ma ne assaporiamo anche altri. Si riflette sulla vita, sulla morte, sul talento, sul fine ultimo di ogni cosa. È un racconto spirituale, intimo, animato con maestria e delicatezza.
DA QUI SPOILER
Vedere un film della Pixar è sempre un’esperienza incredibile. Viene voglia di scavare a fondo in ogni attimo cercando di rimanerci il più possibile ed estrapolare saggi consigli. Soul offre molto su cui soffermarsi, dalle bolle alle anime perdute, dall’ante mondo al binomio corpo-anima. Vorrei avere qui Spargivento per farmi spiegare con calma cosa succede quando la gioia diventa ossessione, quando il talento o la vocazione si trasforma in pensiero fisso mangiandosi tutto il resto. E cosa si può fare per evitarlo. Vorrei ascoltare per ore le parole di Ventidue mentre prova a capire il mondo, vorrei che i Jerry mi aiutassero in tutti i modi a tenere a mente quella bellissima e mancata equazione tra scintilla e scopo della vita. Vorrei sapere cosa ne pensano i bambini, vorrei vederlo coi loro occhi.
Tra i tanti momenti magici, quello in cui Joe ritrova nelle piccole cose l’essenza della vita mi ha ricordato molte altre storie che negli anni ho imparato a fare mie, penso ad esempio a Paterson e About time. Si tratta di un discorso, di una verità, di cui spesso ci si dimentica e che invece ogni tanto credo sia necessario rivivere. Perché quando viene sviluppato bene, come accade in Soul, l’impatto emotivo che provoca è forte pur essendo prevedibile, è nuovo anche se lo conosciamo già. È la scintilla che ci accende, ci nutre, ci rimette in carreggiata concedendoci, come dice il poeta Franco Arminio, “una vacanza intorno a un filo d’erba”.
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