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Film

Le otto montagne

Elisa

Ho letto Le otto montagne di Paolo Cognetti la scorsa estate, al mare. In quei giorni c’era spesso un silenzio ampio, spezzato soltanto dai rumori del porto, sordi e sempre uguali. La mia schiena era bruciata dal sole e la mia testa piena di immagini di neve. Ci stavo bene in quel contrasto, lo abbandonavo con fatica. E qualche mese dopo, guardando il film, l’ho ritrovato. Solo che non era più estate e il calore non ce l’avevo sulla pelle. Era nelle ossa.

Pietro e Bruno si incontrano negli anni ’80 a Grana, un paesino della Valle d’Aosta. Sono giovani, diversi. Si legano uno all’altro in fretta, crescono, si allontanano per molto tempo. Finché qualcosa, qualcuno, li porterà a scoprirsi di nuovo.

Costruendo Le otto montagne, Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch (Alabama Monroe) hanno fatto un lavoro minuzioso nella creazione di un ritmo adatto al racconto. La lentezza è avvolgente come una sala buia, le pause necessarie per mostrare cosa cambia e cosa no. Sono proprio le loro scelte stilistiche, a partire dal formato in 4:3, che invogliano a rallentare. La natura è mostrata nelle sue parti, è fatta di cose che si vedono e si possono indicare – come direbbe Bruno. E poi la musica di Daniel Norgren, solenne e nitida, sembra scolpire ogni passaggio.

Il salto nell’età adulta, proprio come nel romanzo, avviene in maniera brusca e insieme naturale. Luca Marinelli e Alessandro Borghi hanno una complicità incredibile, si uniscono senza fondersi. Riescono a portare sulle spalle i bagagli di Pietro e Bruno, comunicano come i bambini che li hanno preceduti. Mi ha colpito molto il viso di Borghi, così pieno di quello che il suo personaggio non riusciva a dire.

Tornando alla mia estate, credo che Le otto montagne viva soprattutto di richiami. Si aggancia ai contorni della vita, fa risuonare contrasti familiari. Non è la storia, non solo, è il suo eco. Ed è per questo che la trasposizione per me è proprio un ritorno a tutti gli effetti. È calore freddo che diventa solo calore.

Comments

  1. Sono d’accordo. “Le Otto Montagne” è un capolavoro stilistico che trascende la semplice esperienza visiva, permettendo allo spettatore di immergersi in una ben più profonda realtà sensoriale ed emotiva. La precisione con cui sono scanditi i personaggi è allarmante (indice di ciò è la loro capacità di comunicare restando in silenzio), e non c’è assolutamente niente da dire sul lavoro dei due protagonisti. Ma non solo. Ogni attore, dal più importante alla comparsa, ha contribuito a creare l’aura magica di cui il film dispone. Grande sensibilità registica porta a grandi emozioni.
    Non sono andato in montagna quest’anno, sono andato al cinema.

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