Mae Martin, autrice e protagonista di Feel Good, ci regala con questa breve serie in sei parti un racconto viscerale e schietto basato sulle sue esperienze personali. Il suo coraggio nel mostrarsi vulnerabile è ammirevole e, per quanto il suo sia un progetto artistico ancora acerbo, ha dimostrato di avere tanto da dire.
Mae è una comica con alle spalle un burrascoso passato di droghe e relazioni finite. Una sera incontra George, una bella ragazza di cui si infatua subito e che sembra darle l’impennata di gioia di cui ha bisogno. Presto però capiremo che Mae ha ancora problemi di dipendenze e che, anche se i suoi oggetti del desiderio cambiano, la ricerca dello sballo persiste. Feel Good è una bufera di insicurezze svelate e desideri repressi, è la fragilità smascherata di una donna che non riesce più a tenere insieme i pezzi.
INIZIO SPOILER
Nel finale Mae cede all’amore, ma siamo sicuri che non stia solo cedendo all’ennesima dose? Non è forse vero che l’innamoramento provoca dipendenza? Credo che il punto di forza di questa serie sia farci vedere che le cose non si aggiustano magicamente, che ci vuole impegno e costanza, che i problemi prima di risolversi necessitano di fatiche e ricadute. E neanche l’amore nella sua forma più bella (neanche quello dei genitori) può guarire ferite così profonde, ma solo la persona coinvolta, solo Mae, può decidere di cambiare. Può avere l’appoggio di chi ama, anzi direi che è fondamentale averlo, ma non può scaricare le responsabilità su di loro e non affrontare di petto il vuoto che l’attanaglia.
FINE SPOILER
Ho letto più volte che Feel Good è stata paragonata a Fleabag. Credo sia simile per la sua autenticità, per il modo in cui la quotidianità viene raccontata, ma mentre Phoebe Waller-Bridge ha creato un’opera completa Mae Martin ha solo fatto il suo (bellissimo) debutto. Quindi se dovessi cercare una serie simile a Feel Good penserei molto di più a Crashing (il primo lavoro di Phoebe Waller-Bridge e sempre disponibile su Netflix).
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