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Film

Knives Out

Elisa

Il regista Rian Johnson, che firma anche la sceneggiatura, rinnova il genere giallo dandogli nuova linfa non solo nella costruzione dell’intreccio, ma soprattutto nella scelta di fare dell’ironia l’arma vincente. Perché Knives Out fa ridere, tanto. E il bello è che lo fa in modo indiretto, scatenando risate che derivano da situazioni paradossali e inaspettate più che da battute divertenti. Il tutto mentre si accavallano indizi e piste da seguire, confessioni e bugie. C’è proprio un’astuzia deliziosa in questo film.

Il cast inoltre è stellare, tiene testa al racconto intricato e anzi lo risalta. Daniel Craig è meraviglioso nelle vesti di un detective che a tratti è la parodia di se stesso, Jamie Lee Curtis dice tre parole e illumina la scena, Toni Colette con le sue smorfie parla più di tutti. E Chris Evans, Ana de Armas, Christopher Plummer non sono da meno.

Johnson gioca con gli stereotipi tipici dei gialli riuscendo a ribaltarli, infilando un colpo di scena dopo l’altro. Ci sono riferimenti ai classici di Agatha Christie, ma anche al Cluedo e a Jessica Fletcher. Knives Out è perfettamente calato nella nostra epoca, in alcune scene per esempio mi veniva spontaneo pensare ai meme o alle serie tv. E forse è proprio per questo che il risultato è così accattivante, perché ci riguarda. Il regista si serve di un genere strutturato come il giallo per raccontare la storia di una famiglia ricca che potrebbe benissimo esistere, evidenziando quanto l’avidità possa rendere le persone meschine. Da questo lato, anche se alla lontana, mi ha ricordato la serie Succession, che si avvale dell’ironia ma che mostra soprattutto una forte drammaticità.

Knives Out quindi è una film che può essere visto in due modi: come semplice e acuto intrattenimento e come il ritratto della nostra società.

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