Il debutto alla regia di Noah Baumbach è esattamente come me l’aspettavo, è l’essenza acerba dei suoi lavori successivi. La sua capacità di raccontare momenti apparentemente insignificanti mi colpisce sempre, e in Kicking and Screaming si intravedono già i dialoghi e le idee poi sviluppate insieme a Greta Gerwig in Greenberg e Frances Ha. É come se fosse in grado di dare spazio ai tempi morti. Che poi, forse, sono i migliori.
Grover e i suoi amici si sono appena laureati e non sanno cosa fare delle loro vite. Sono disillusi, in cerca di stimoli e fanno fatica a lasciare l’ambiente universitario in cui hanno passato gli ultimi anni. C’è una scena, in cui Max dice di aver nostalgia del presente, che ricordo benissimo di aver vissuto anch’io. Ero come lui in un bar con le persone che negli ultimi anni avevano fatto quotidianamente parte della mia vita e sapevo che le nostre strade si sarebbero presto divise. Mi sentivo strana, impaurita, come un’ancora che si disincaglia e scorre sul fondale. É un turbamento interiore che ognuno vive in modo diverso, come dimostrano i personaggi del film. C’è chi si aggrappa a una storia d’amore, chi ha paura di partire, chi di restare. Ed è bello e confortante vedere come personalità opposte reagiscono alla stessa cosa.
Kicking and Screaming quindi, ambientato quasi in una sorta di limbo, racchiude alla perfezione quella sensazione di nostalgico smarrimento che pervade chi ha appena concluso una fase della sua vita. Anche se i tempi, i vestiti, le musiche sono diverse, quei ragazzi laureati nel ’95 potrebbero benissimo essere quelli di oggi.
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