Mio fratello ha sei anni, io dieci. Sono io quello grande, sono io quello che capisce le cose. La scorsa notte i nostri genitori hanno litigato di nuovo, urlando a bassa voce. Ogni volta sono convinti di essere invisibili, di avere un particolare potere che gli permette di non farsi sentire. Ma noi li sentiamo, è come se fossimo lì con loro, sempre.
Abbiamo la stessa camera io e mio fratello, coi letti separati ovvio. Spesso durante queste stupide notti facciamo entrambi finta di dormire, ci raggomitoliamo dentro il nostro piumone credendo di essere dei duri, di essere intoccabili. Ma la notte passata non è andata così: lui aveva gli occhi aperti, non voleva più fare finta.
Si era alzato per mettersi a sedere ai piedi del mio letto, se ne stava fermo per terra a chiedersi chissà cosa in quella sua piccola testa. E non parlava, e non piangeva. Aspettava. Aveva iniziato a tirare su col naso, a fare rumore coi piedi, a battere i pugni per terra. Sapeva che ero sveglio, ma forse voleva che mi svegliassi sul serio. Così mi sono tolto di dosso le coperte e l’ho raggiunto per terra.
Finalmente disse qualcosa, tenendosi le maniche del pigiama in bocca e storpiando le parole. Ero sicuro di aver capito bene lo stesso, aveva detto che aveva paura dei mostri. Non diceva quali e non spiegava perché, aveva solo paura dei mostri.
Dopo un’enorme quantità di tempo, tipo quella della lezione di storia, mi sembrava pronto per tornare nel suo letto. Provai ad alzarmi senza fare troppo rumore, ma lui mi tirò la tasca dei pantaloni e mi riportò con il sedere per terra. D’altronde non è facile risolvere in fretta il problema dei mostri, io non credo di esserci ancora riuscito. Se mi dimentico il piede fuori dalla coperta non è che faccio sogni leggeri.
Comunque, mio fratello finalmente chiuse gli occhi. Era seduto, con il mento verso il petto, immobile come la nonna quando si addormenta a tavola. Aveva un’aria buffa, avrei dovuto fargli una foto. Non so come, ma sua mano era ancora nella mia tasca. Ha i polpastrelli fatti di Vinavil mio fratello, bianchi e appiccicosi. Ormai avevo capito che non c’era più niente da fare, che dovevo rassegnarmi e soffrire con lui. Forse era questo il punto, forse non avevo mai sconfitto i miei mostri perché ero da solo, forse la soluzione era rimanere vicino a lui tutta la notte e dividere in parti uguali la paura. Forse se lo aiuto divento un supereroe, forse lo diventiamo tutti e due. Chi può saperlo.
Questa mattina mia madre ci ha svegliato tirando su le persiane, noi eravamo ancora seduti sul pavimento. Lui con la mano nella mia tasca, io con la testa a penzoloni e il torcicollo. Mentre andavo a scuola quella faccenda dei supereroi mi sembrò più chiara, i mostri vanno sconfitti in due, è ovvio. Come ho fatto a non pensarci prima. Se io lo aiuto con i suoi, lui mi aiuta con i miei, e visto che non credo ce ne sbarazzeremo facilmente quando verranno a trovarci potremmo sempre dividerceli. Mi sembra un buon piano. Chissà perché i grandi si dimenticano che a volte la cosa migliore è esserci e basta.
Oggi ci aspetta un’altra battaglia, un’altra notte senza dormire. Ma ora siamo insieme e niente può fermarci. Eccoci, siamo pronti. Fuoco alle polveri.
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