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Film

Parasite

Elisa

Circa un mese fa mi imbattei nel cinema sudcoreano con Burning, un’opera evocativa e emozionante tratta da un racconto di Murakami. Lo trovai talmente bello che iniziai a cercare altri film coreani da vedere, e il primo che mi saltò all’occhio fu Parasite, fresco vincitore della Palma d’oro a Cannes.

Qualche giorno fa Parasite è finalmente arrivato nelle nostre sale e io mi ci sono fiondata. La storia è incentrata su una famiglia povera che pian piano, senza rivelare la parentela fra i vari componenti, riesce a insinuarsi alle dipendenze di una ricca intravedendo l’inizio di un benessere economico a lungo agognato.

Se Burning mi ha estremamente coinvolto a livello emotivo, Parasite mi ha soddisfatto sul piano mentale. Quella che all’apparenza sembra una commedia nera si trasforma in una violenta critica sociale fatta di sangue e risate amare. La regia di Bong Joon-ho indugia su ciò che è scomodo, ponendo l’attenzione su un’insanabile lotta di classe e andando oltre i confini di ciò che crediamo di sapere.

Parasite si eleva su molti dei film che parlano degli stessi argomenti perché li affronta con crudo realismo e sprezzante sarcasmo, unendo intrattenimento difficile da prevedere e dramma sociale. Quando circa a metà credevo di avere un quadro della situazione il film si è nuovamente rinnovato, scavando in posti che non sapevo neanche esistessero. Due ore di ottimo cinema, da ogni angolazione possibile.

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