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Halldora Thoroddsen, Doppio vetro

Elisa

Doppio vetro è lungo poco più di cento pagine, eppure per finirlo ci ho messo moltissimo tempo. L’ho iniziato quest’estate in una calda giornata d’agosto e, anche se ho trovato subito la prosa scorrevole, l’ho abbandonato quasi subito. Mi aveva lasciato addosso una strana malinconia, di quelle che si percepiscono solo in lontananza. Quando poche settimane fa l’ho ripreso in mano mi sono accorta che quella sensazione c’era ancora, ma che in qualche modo ero più incline ad affrontarla.

L’intreccio di questo breve romanzo è lineare e apparentemente noioso. Una signora anziana racconta le sue giornate, i suoi ricordi, le sue paure. Ogni tanto si perde in pensieri, saltando qua e là come una mente qualunque, ed è facile perdersi con lei. Il naturale decadimento fisico non la rende meno vitale e sentimentale di un tempo e c’è infatti un continuo fiorire nella sua vita, soprattutto interiore. La sua è un’anima che ha il coraggio di provare nuove emozioni, anche se gli anni sembrano non permetterglielo più.

Leggere Doppio vetro è come entrare in una coltre di nebbia velata, in cui gli spazi sono poco definiti e si fa fatica a seguire un percorso. Sicuramente non si tratta di una lettura leggera, non tanto per la scrittura che anzi è snella, ma per la sua mancanza di azione. I confini tra l’immaginazione della protagonista e la sua realtà sono sbiaditi, spesso privi di scossoni. Avete presente la grande differenza tra un dipinto a tempera e un acquerello? Ecco, Doppio vetro è un acquerello.

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